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Libertà su Internet: Cina, Siria e Iran gli stati più restrittivi

 

Il livello di libertà di internet nel mondo è in declino per il sesto anno consecutivo, Cina, Siria e Iran sono gli stati con i governi più restrittivi nei confronti della rete internet. I social network sono i più colpiti dalle censure degli stati autoritari. Boicottaggi anche nei confronti di WhatApp e Telegram. E' quanto risulta da report Freedom of the net 2016, appena pubblicato dal think tank Freedom House.

Il livello di libertà di internet nel mondo è in declino per il sesto anno consecutivo,  tutto ciò a causa della crescente repressione da parte dei governi.  Nonostante internet e il world wide web siamo stati creati per diffondere la libertà di informazione a livello mondiale, assistiamo a restrizioni e censure sempre maggiori.

 

Cina, Siria e Iran i paesi meno internet open

Il report prende in considerazione il comportamento dei governi in 65 paesi del mondo,  che rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale, nello specifico dell’88% della popolazione. Per il secondo anno  di seguito, la Cina si è confermata al primo posto, essendo il paese più restrittivo nei confronti della rete, seguita da paesi come Siria e Iran. La Corea del Nord non è stata inclusa nel rapporto, per impossibilità di monitorare i dati.

 

L'Italia tra i paesi con maggiore libertà

L’Italia, anche se con un punteggio inferiore rispetto al 2015 (probabilmente dovuto alla contestata legge sul cyberbullismo, il cui iter non si è però ancora concluso), figura nell'elenco dei paesi che beneficiano di maggiore libertà. Ai primi posti del gruppo di paesi con più libertà sul web troviamo Estonia e Islanda. Fanno parte del gruppo nazioni dell’America del nord, dell’Europa occidentale, oltre a Giappone, Australia, Sudafrica, Kenya e Filippine.

 

Libertà su internet solo per il 24% della popolazione mondiale

A beneficiare di libertà su internet è un piccolo gruppo privilegiato: a vivere in paesi in cui internet è davvero libero è solo il 24% della popolazione mondiale. Il 64% restante  vive dunque in paesi che non garantiscono la libertà della rete, è il caso della Russia e della Turchia,oppure la garantiscono solo parzialmente, come nel caso dell’India, del Messico odell’Ucraina. Tra i paesi in cui la libertà sul web è peggiorata di più troviamo Uganda, Bangladesh, Cambogia, Ecuador e Libia. Dall'altra parte  la libertà in rete è cresciuta in Sri Lanka e Zambia e negli Stati Uniti dove è stata approvata una legge che vieta la raccolta di metadati delle telecomunicazioni. 

  

WhatsApp: il più colpito dai governi repressivi

Nel 2016  i governi autoritari hanno per la prima volta portato la loro attenzione nel boicottare i servizi di messaggistica istantanea, in particolare quelli che proteggono le comunicazioni con la crittografia come WhatsApp e Telegram. Il più colpito nel 2016 è stato WhatsApp, il quale è stato bloccato in ben 12 paesi, tra cui Bangladesh, Bahrain ed Etiopia. Telegram invece è stato boicottato in Cina, dove stava diventando sempre più popolare tra i sostenitori dei diritti civili. 

 

Facebook e Twitter i bersagli principali

I bersagli prediletti dei governi restrittivi, però, rimangono sempre i social network.  Nel 2016 ben 24 governi hanno impedito l’accesso a Facebook, Twitter o altre piattaforme, mentre nel 2015 erano 15, questo ha fatto si   che il livello di libertà su internet è peggiorato in 34 paesi sui 65 presi in considerazione. Tra questi troviamo in particolare, il Brasile e la Turchia che da “parzialmente liberi” sono passati ad essere classificati come  “non liberi”. 

 

Arresti per chi viola le restrizioni

Ricapitolando, possiamo affermare che ben il 27% degli utenti di internet vive in paesi in cui è possibile venire arrestati per aver pubblicato, condiviso o anche solo messo un like a qualche post sgradito su Facebook. Il fatto è ancora più grave se si considera che le nazioni che effettuano arresti per simili ragioni sono aumentate del 50% rispetto al 2013.

 

Fino a 10 anni di carcere per chi viola le restrizioni

Tra i casi più eclatanti, possiamo ricordare l’arresto di uno studente 22enne in Egitto, condannato a tre anni di carcere per aver postato un’immagine del presidente al-Sisi con le orecchie di Topolino. Altro esempio  è quello di un uomo in Turchia condannato ad un anno di prigionia, con pena sospesa per aver accostato delle foto di Erdogan ad alcune immagini di Gollum, il famoso personaggio del Signore degli Anelli. Situazione ancora più drastica  in Arabia Saudita, dove un uomo è stato condannato a 10 anni di prigione e 2mila frustate per aver promosso l’ateismo attraverso i suoi tweet. 

 

Alcune case history positive

Nel report non figurano solo fatti negativi. In esso sono contenuti anche  esempi positivi provenienti da Argentina, Giordania, Nigeria e altri paesi ancora. Gli esempi riguardano  campagne politiche nate sui social network che hanno portato risultati concreti nel diffondere i diritti della comunità LGBT, delle donne e nel promuovere gli ideali di giustizia sociale e libertà politica. Proprio le stesse ragioni per cui, sempre di più, i governi autoritari scorgono in internet un nemico pericolosissimo. 

 

Come i governi boicottano il web

I  governi  cercano di limitare la libertà in rete attraverso la rimozione di contenuti tramite pressioni, arresti e leggi che spingono gli Isp a esercitare una “censura preventiva”. Ma non solo i governi utilizzano appositi software, come ad esempio FinFhisher, per mettere sotto controllo avvocati, attivisti e membri dell’opposizione. Infine, fra le armi dei governi autoritari troviamo strumenti per contrastare la criptazione dei dati e impedire l’utilizzo dell’anonimato in rete. Tutti sforzi repressivi che secondo il dossier saranno difficilmente sostenibili nel lungo termine.

 

 

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